Il calcio scommesse condiziona la Serie A verso la ripresa dopo la pausa per le nazionali. Il dibattito sulle sanzioni resta vivo
Non sono state due settimane semplici per i tifosi italiani. La nazionale continua a vivere di alti e bassi, ma ora rischia di non ottenere il pass per i prossimi Europei e soprattutto c’è il caso legato al calcio scommesse che domina l’attenzione mediatica e attanaglia l’intero movimento, con tutte le ripercussioni che ne conseguono.
Dopo i rumors, i nomi tirati dentro per la giacchetta e poi smentiti e le accuse, è arrivato anche il momento delle prime pene, quelle della giustizia sportiva. Il procedimento più veloce è stato per chi si è autodenunciato e ha collaborato in tutto e per tutto con la procura, Nicolò Fagioli. Il centrocampista si è trasformato da talento imperdibile dell’Allianz Stadium, coccolato anche dai tifosi più esigenti, a scommettitore seriale e spot contro la ludopatia.
Il patteggiamento l’ha portato a una squalifica di sette mesi più cinque di pene accessorie, ma potrà comunque allenarsi con il resto della squadra. Secondo alcuni, è stata una punizione troppo leggera che non potrebbe funzionare da deterrente per il futuro. Ne ha parlato Fabrizio Biasin, noto giornalista di ‘Libero’, ai microfoni di TvPlay: “Se parcheggi in seconda fila sai che al peggio prendi una multa. Stessa cosa se sai che la sanzione per le scommesse sul calcio non sono molto alte si può incentivare qualcuno a farlo“, ha detto. Le polemiche, quindi, non si fermano e sfociano anche in valutazioni sulla gestione mediatica del caso.
Caso scommesse e Corona, quando l’informazione diventa confusionaria
Di fronte a situazioni giudiziarie e sportive così intricate, il lavoro dei media si fonda sulla chiarezza espositiva nel riportare i fatti.
Secondo Biasin, non è quello che è successo ad “Avanti Popolo”, in onda su Rai3, durante l’intervista a Fabrizio Corona: “Serve chiarezza nell’esposizione, se si tira dentro tutto si fa solo confusione. Ieri il dibattito è stato molto confuso non solo per colpa sua”. E ancora: “I dati sullo share sono discutibili. Secondo me il 4% non vale lo sputtanamento generale che c’è stato. Non mi è sembrato un buon servizio. La RAI, a differenza delle televisioni private, non vive solo di pubblicità”, chiude il giornalista.
Se la ludopatia è un male da estirpare, e non si può dire il contrario, i media devono interrogarsi sul controllo e la pubblicazioni di informazioni così delicate. E non tutti l’hanno fatto.