A distanza di dieci anni dalla morte del marito, la moglie dell’ex calciatore torna a parlarne: l’argomento riguarda anche Gianluca Vialli
Il 6 gennaio 2023 sarà una data che difficilmente gli appassionati di calcio si scorderanno. In quel giorno, infatti, si spegneva per sempre, a soli 59 anni, Gianluca Vialli. Una persona prima che un calciatore, che ha lasciato il segno nel mondo del pallone non solo per il suo talento e i suoi gol, ma, soprattutto, per gli insegnamenti che ha saputo dare a tutti quelli che lo conoscevano prima del suo addio.
Il tumore al pancreas lo ha portato via troppo presto lasciando un vuoto incolmabile nel mondo del calcio, perché Luca, in ogni posto in cui è stato, si è fatto amare da tutti con la sua spontaneità e il suo carattere che, in campo così come nella vita, infondeva coraggio a chiunque gli stesse vicino.
Il suo apporto, del resto, si è fatto sentire anche nella Nazionale vincitrice a Euro 2020. Un successo indelebile, nel segno di Vialli, di cui ancora oggi si sente la sua mancanza. Così come si sente la mancanza di Sinisa Mihajlovic, altro grande del calcio nostrano morto per leucemia qualche settimana prima di Gianluca.
Una situazione drammatica, questa di Vialli e Mihajlovic, che accomuna tanti ex calciatori e di cui ha parlato, in un’intervista a Il Giorno, Chantal Borgonovo, moglie del compianto Stefano, scomparso prematuramente di Sla nel 2013.
“Tutto riporta in mente quei ricordi drammatici – ha detto –. Mi metto dalla parte delle mogli anche se non le conosco. Sono sicura che se Stefano non avesse fatto il calciatore non si sarebbe ammalato, o magari sarebbe successo in età avanzata“.
Parole, queste, con le quali Chantal vuole riportare alla luce un tema, molto delicato, che accomuna i tre campioni: “È morto giovane perché ha giocato a calcio. Il nostro percorso è simile, i nostri mariti facevano lo stesso lavoro. Questo mi induce a fare delle riflessioni“.
“La Sla ha colpito troppi calciatori negli anni, in età giovane o adulta – ha aggiunto –. Lo dicono le statistiche. Se Stefano avesse fatto un altro tipo di vita non si sarebbe ammalato“.
Una malattia, quella del marito, le cui cause sarebbero ancora ignote: “Purtroppo il perché e il per come non li sa nessuno. Sono anni che aspetto risposte. Io so che mio marito, quando giocava, non ha mai preso farmaci strani, assumeva sostanze soltanto sotto il controllo dello staff medico se prescritto“.
“Dopo la loro morte, tanti atleti hanno rotto il muro dell’omertà raccontando le loro paure – conclude –. Hanno riaperto la questione, ma vedo che si è richiusa altrettanto rapidamente. Vedo che parlarne dà fastidio, non so se dipenda da interessi economici o altro“.
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