In un’intervista a Il Napolista, Adriano Panatta ha parlato delle differenze tra il Tennis di oggi e quello dei suoi tempi.
Mai banale Adriano Panatta, tra i più grandi personaggi del tennis nostrano, che in carriera ha ottenuto innumerevoli successi, compresa quella storica Coppa Davis insieme ai compagni di Nazionale conquistata a Santiago del Cile nel 1976.
Un successo, questo, che è stato persino raccontato nella docu-serie “Una Squadra” che ripercorre le tappe che hanno portato alla vittoria il team guidato da capitan Nicola Pietrangeli attraverso il racconto degli stessi protagonisti e immagini memorabili.
Curioso, poi, il fatto che la serie abbia debuttato nello stesso anno in cui l’Italia si ritrova nel suo forse periodo migliore dai tempi dello stesso Panatta. Jannik Sinner e Matteo Berrettini sono i massimi esponenti del movimento essendo i primi due azzurri del ranking Atp. Ma non vanno certo tralasciati i vari Sonego, Fognini, Bolelli e soprattutto Lorenzo Musetti, che quest’anno ha trovato la sua definitiva consacrazione tra i “grandi”.
Certo è che per arrivare a giocarsi i titoli più prestigiosi il percorso non è affatto semplice. Ed è questo uno dei temi che ha trattato l’ex campione romano in un’intervista a Il Napolista.
Adriano Panatta: “Non me la sono rovinata”
Lo spunto, in tal senso, lo ha offerto il dibattito, scatenato dalle polemiche nella ginnastica ritmica, secondo cui lo sport professionistico farebbe male. “Io certamente non me la sono rovinata la vita, per vincere” ha affermato Panatta. Ad ogni modo, ora i tempi sono cambiati da quando giocava lui, non tanto per il fatto che adesso ci sia più competitività, quanto per lo sviluppo della conoscenza dei vari aspetti che oggi ogni atleta deve curare.
“Non è che si è alzata l’asticella ai tempi miei, è che è cambiata la tipologia degli allenamenti. Gli atleti sono anche molto più aiutati per certi versi” ha detto. E ancora: “Le metodologie di allenamento, la scienza dell’alimentazione… è tutto molto diverso rispetto ai tempi miei. Ma il tempo che uno dedica alla fatica è sempre lo stesso“.
Secondo Panatta, poi, ci sarebbe una differenza tra il tennis e le altre discipline sportive. Lo spunto, in questo caso, lo offre Djokovic e la sua voglia di vincere sempre. “Deve essere così, ma ci sono anche dei limiti. Lui è entrato in un trip. Il tennis poi ha altri fattori che incidono, non basta la fatica e il sacrificio“. Infatti, per lui, ci sono vari fattori che influiscono in una partita. “Durante un match ci sono sempre tante cose che succedono, e di cui la gente non si rende conto – spiega –. Evidentemente, in questo caso, non voleva dare soddisfazioni a Medvedev (ultimo match “inutile” del girone delle Atp Finals con Nole già certo di disputare la semifinale, ndr)”.
“Scatta un clic, ci sono le simpatie, le antipatie, le amicizie… Tante cose messe insieme – conclude –. Lui è uno molto determinato. Ma le personalità degli atleti sono una diversa dall’altra, approcci diversi, ambizioni diverse. E poi… Lui è Nole, ma io so’ stato Adriano“.