L’accusa rivolta al serbo Novak Djokovic in occasione del torneo di Wimbledon ha diviso i suoi tifosi
“Essere il numero 1, diventare il migliore, è da sempre l’obiettivo della mia vita”. Questa sua dichiarazione sintetizza meglio di ogni altra la storia di Novak Djokovic. Il serbo fin da piccolo è apparso un bambino dal talento sorprendente e dalle idee chiarissime. Già a dieci anni affermava senza ombra di dubbio che da grande avrebbe voluto diventare un campione di tennis.
La sua storia attraversa non pochi ostacoli. Il padre finisce in mano agli usurai per sostenere il suo sogno poi, il 24 marzo del 1999, la NATO lancia il primo bombardamento su Belgrado. La famiglia Djokovic si rifugia nell’appartamento del nonno di Nole, quando suonano le sirene vanno tutti giù in cantina.
Ma il piccolo Djokovic, grazie a Jelena Gencic, punto di riferimento per generazioni di tennisti serbi e già insegnante di Monica Seles, continua ad allenarsi tutti i giorni. Gencic gli fa leggere Puskin, gli fa scoprire la musica classica. Allenarsi sotto le bombe, che l’hanno sorpreso in campo anche nel giorno del suo dodicesimo compleanno, ha certamente influenzato tutta la sua carriera. “La guerra mi ha reso una persona migliore e un tennista migliore – ha detto qualche anno fa -, voglio dimostrare al mondo che esistono anche dei serbi buoni“.
Djokovic e la guerra, l’accusa divide i tifosi
Quella parte della sua storia è tornata al centro dell’attenzione prima e durante il torneo di Wimbledon. La decisione degli organizzatori di escludere russi e bielorussi per l’invasione dell’Ucraina, che ha violato la Tregua Olimpica e comportato la reazione del CIO e delle federazioni sportive internazionali che ne fanno parte, ha finito per penalizzare Djokovic più di tutti nel circuito ATP.
L’edizione 2022 del torneo, infatti, non ha assegnato punti validi per la classifica, e i giocatori non hanno potuto nemmeno mantenere quelli dell’anno scorso. Dunque Nole, pur campione per la quarta volta di fila, ha perso 2000 punti ed è sceso al settimo posto.
“Sarò sempre il primo a condannare la guerra, conosco quale tipo di trauma lascia – ha detto il serbo a Belgrado alla vigilia dei Championships -. Ma non posso supportare la decisione di Wimbledon. Non c’è alcun motivo per escludere i giocatori russi, l’invasione non è colpa loro. Quando la politica interferisce con lo sport, non va a finire bene”.
Una posizione che non ha convinto un’icona dello sport, il campione di scacchi russo Garry Kasparov, contrario all’invasione da parte dell’esercito della sua stessa nazione.
“I russi possono giocare in base al ranking, ma uccidono in base alla loro nazionalità – ha scritto sui suoi profili social commentando la posizione di Djokovic -. Gli atleti russi che non condannano la guerra di sterminio di Putin in Ucraina la sostengono con il loro silenzio. E un serbo che non condanna tutto questo è inadeguato alla luce della storia”.