Matteo Berrettini ha una particolare passione che condivide con tutta la sua famiglia a cui è legatissimo come ha dimostrato in più occasioni
Il volto di Matteo Berrettini è ovunque. Grazie all’accordo di sponsorizzazione con Boss, che l’ha reso il primo tennista testimonial globale del brand, è protagonista insieme ad artisti e cantanti di campagne mondiali. “La mia famiglia mi manda foto con la mia faccia dappertutto” ha raccontato.
Questo nuovo Berrettini popolare e a suo agio nell’universo glamour piace molto alla nonna. “Mi ha sempre detto che ero il ragazzo più bello del mondo, ma penso lo dicano un po’ tutte le nonne dei loro nipoti. Onestamente, però, non mi sarei aspettato di finire sui cartelloni pubblicitari in ogni parte del mondo”.
In campo, il numero 1 azzurro mostra sicurezza e fiducia. E’ un perfezionista, che da anni lavora alla costruzione della sua idea del tennista perfetto. Fuori dal campo è un ragazzo elegante, simpatico, con molto charme, e nessun segno di superbia o maleducazione.
“Non penso di essere speciale, o di dover essere trattato diversamente dagli altri. In fondo, sono solo bravo a colpire una palla da tennis” ha spiegato a Tennis.com. In questo suo modo di vivere e affrontare la sua carriera, ha aggiunto, c’è la traccia più importante dell‘educazione ricevuta in famiglia.
Famiglia a cui Berrettini è legatissimo. Lo dimostrano anche i più significativi dei suoi cinque tatuaggi: la data di nascita del fratello Jacopo, tennista anche lui, in numeri romani; e una rosa dei venti, accoppiata a un’identico ciondolo che la madre gli ha regalato quando era piccolo e da cui non si separa mai. “Mi fa pensare alla famiglia, me la sono tatuata per ricordarmi ogni momento che se la vita ti fa sbandare puoi sempre tornare sulla rotta giusta” ha raccontato tempo fa alla Gazzetta dello Sport.
Alla famiglia si deve anche la passione che unisce i Berrettini, compreso Matteo. Una passione non così usuale per un ragazzo nato e cresciuto a Roma. Quando a casa Berrettini si parla di calcio, infatti, c’è una sola squadra che fa battere il cuore a tutti: la Fiorentina.
Certo, Matteo segue ora più il basket NBA che il calcio, ma la passione non è comunque del tutto scomparsa. E’ una vicinanza, quella della famiglia per i viola, iniziata con nonno Piero che lavorava alla Olivetti di Fiesole e poi alla Standa prima di stabilirsi a Roma.
Piero era un grande tifoso della Fiorentina. Andava spesso allo stadio negli anni d’oro dell’era Bernardini, allenatore in costante anticipo sulle evoluzioni del pallone arrivato sulla panchina viola nel 1953.
Ha vissuto da protagonista la stagione 1956-57 conclusa con uno scudetto storico anche grazie alle giocate di Giuseppe Virgili, per tutti Pecos Bill, peraltro nonno del tennista Adelchi. Era la Fiorentina di Julio Botelho, detto “Julinho”, del jolly Miguel Angel Montuori, e di capitan Rosetta.
L’anno successivo quella squadra diventerà la prima italiana in finale di Coppa dei Campioni. Di fronte, però, c’è l’imbattibile Real Madrid di Gento, Di Stefano e Kopa, che vince 2-0. Più di sessant’anni dopo, Matteo diventerà il primo italiano in finale su un altro prato di prestigio. Sempre con la stessa passione nel cuore.
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